Cecilia Farago', l'ultima magara

Storia dell'ultima donna processata per stregoneria
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Ci ritroviamo in un piccolo paese della Calabria, Soveria Simeri, situato nell’entroterra a pochi km dal capoluogo di provincia Catanzaro e su cui sostanzialmente gravitava la società.
È una società contadina e statica, cattolica, controllata da un elevato numero di religiosi, un sistema rigidamente diviso per classi, le masse sono mosse dei bisogni essenziali, la povertà è enorme, spesso c'è sotto alimentazione, le donne sono completamente dipendenti e sottomesse, il lavoro minorile è normalità, notevole il disagio giovanile. All'interno di questa società nasce la figura del massaro, una classe intermedia di contadini un po' più agiati che sono riusciti a ritagliarsi dei profitti e quindi sono usciti dalla soglia della povertà assoluta.
La vita quotidiana degli abitanti era una vita fatta di lavoro e Chiesa, famiglia e religione erano i due valori fondamentali della popolazione e all'interno della popolazione sono presenti in gran numero religiosi e preti che assommavano nelle proprie mani un grandissimo potere ed efficaci strumenti di persuasione, controllo e repressione.

Pochissimi erano quindi i proprietari e grandi proprietà terrieri, molti erano i Massari. La donna era in netta subalternità sia all'interno della famiglia che nel lavoro nei campi. Superstizione, stregoneria, magia erano fenomeni diffusi soprattutto fra le persone umili in tutto il mezzogiorno, seguita era la credenza in poteri soprannaturale di diavoli e fate, nani, streghe che esercitavano notevole fascino ma anche terribili paure. In alcuni momenti le streghe venivano invocate perché aiutavano, attraverso fatture o malefici, a risolvere difficilissimi problemi o a spiegare fenomeni che erano ritenuti soprannaturali, non mancano i racconti sulle streghe, orrende vecchie con mantello, nasi ad uncino, lunghe dita, leggende su tesori sepolti, su incontri con streghe, sulle anime dei morti che terrorizzavano parenti e amici.

Cecilia nasce probabilmente nel 1710- 12 forse a Zagare forse a Soveria Simeri e si sposa giovanissima a Lorenzo Gareri di Soveria, Massaro, con lui ha due figli Sebastiano e Andrea. Sebastiano entra nel convento francescano sin da bambino. Lorenzo e il figlio Andrea sono particolarmente preoccuparti per la vita nell’aldilà, l'atmosfera di profonda e sentita religiosità e di devozione di Lorenzo si trasmetterà poi al figlio. Cecilia è invece indicata come una donna con una religiosità meno sentita, non aveva piacere ad andare in chiesa era più che altro dedita alla preparazione delle erbe. Quando Lorenzo sente vicina la morte destina i suoi averi al figlio Andrea dopo averlo fatto sposare con Rosa Vigliarolo, e da oltremodo pensoso del destino ultraterreno, lascia una messa in perpetum et mundo durante per l’anima sua e di Cecilia, nel lascito testamentario si evince che il figlio debba prendersi cura della madre e del padre finchè in vita.

Lorenzo muore nel 1762 e soli 4 anni dopo muore anche Andrea. Cecilia resta sola, senza eredi maschi, senza nessuno che possa adempiere al ruolo di amministrare i buoi e i granai; senza alcuna intenzione di risposarsi Cecilia resta senza nessuno, del figlio Sebastiano non si avranno più notizie. Due preti Don Francesco Biamonte e Don Domenico Vecchitti sul letto di morte di Andrea riescono ad estorcergli un contratto (un albaranus) secondo cui Andrea cede tutti i suoi beni alla chiesa per tramite dei due preti. All'epoca la chiesa era profondamente corrotta e s’immaginava anche che le pene sofferte dalla gente fossero dovute alla corruzione della Chiesa. Non sappiamo perché dopo qualche mese Cecilia rivendica la falsità di quell’atto, molto probabilmente perché i preti cercano di detrarle anche i suoi averi dotali e le impongono in pratica di campare di stenti, così Cecilia promuove un civile litigio, inusualmente per l’epoca Cecilia si ribella al volere dei preti. La locale corte di Catanzaro blocca tutti gli averi della Faragò.

 In questo frangente i preti consapevoli di poter rischiare di perdere il ricco patrimonio di Andrea giocano l'ultima carta ordendo un colossale imbroglio, accusando Cecilia di fattucchieria, un delitto facile ad essere creato dal nulla. Ricordiamoci che il potere dominante dell'epoca -la Chiesa- aveva forti sistemi di controllo sociale di persuasione delle masse. Il pretesto si manifesta due anni dopo il civile litigo, quando “in circostanze misteriose e soprannaturali” muore il prete del paese, Don Ferraiolo. Si muove immediatamente la macchina della persuasione. I preti senza alcuna carta del governatore, con un secondino corrotto, prelevano di forza Cecilia che viene condotta in carcere e torturata, i preti entrano nella sua casa per procurarsi tutte le prove possibile, prelevano erbe, ossa, polveri e distruggono tutto quello che c'è in casa dandole fuoco.
Incitano la vedova Rossetti la madre di prete Ferraiolo ad accusare Cecilia alla regia udienza di Catanzaro quale artefice della misteriosa morte, ma il mastro d’ atti Antonio Brancia leggendo l’istruttoria da il “non luogo a procedere” contro la Faragò anzi insiste d’ indagare sull’operato di chi “senza uno straccio di carta del governatore” era entrato in casa di Cecilia distruggendogliela. A questo punto la vedova Rossetti non contenta fa appello alla gran corte di Napoli, Cecilia per niente intimorita si fa difendere dall’ allora giovanissimo avvocato Giuseppe Raffaelli, che poi diventerà un grande Giureconsulto che riformerà la gran parte della giurisprudenza del Regno di Napoli poi Regno delle Due Sicilie. La difesa del Raffaelli mette in luce non solo l’inesistenza della magia, ma anche tutti gli errori processuali, l’inganno intessuto dai preti, l’ignoranza dei medici fisici che curarono Don ferraiolo, e che infine lo portarono alla morte, morte per tibe tisica ipocondriaca, la tisi.

Il caso venne seguito dall’allora ministro Tanucci che lo riporto al re Ferdinando IV (Regno di Napoli, poi Ferdinando I Regno delle Due Sicilie) il quale il 29 dicembre del 1770 con un dispaccio decreta la fine di ogni reato per stregoneria e magia nel suo Regno. Il processo celebrato contro Cecilia Faragò segnala fine dei processi per stregoneria e magia nel Regno delle Due Sicilie, anche i giudici sia pure con ritardo rispetto ai tribunali Cristiani sono costretti ad adeguare la propria azione nei confronti di tali delitti. Conosciamo le cose del mondo per come ci vengono tramandate, raccontate. La parola costruisce il mondo.

Fonti:  Memoria Difensiva di Giuseppe Raffaelli, Num. XXIII. Dìfesa di Cecilia Faragò inquisita di Fattucchierìa – COLLEZIONE Di SCRITTURE Di REGIA GIURISDIZIONE. Tom. IX. MDCCLXXI – Biblioteca Nazionale di Napoli Mario Casaburi - La “fattucchiera” Cecilia Faragò. Ed. Rubbettino Libro dei matrimoni - Atto di matrimonio pag. 52 - Archivio della Chiesa Santa Maria Della Visitazione di Soveria Simeri. Libro delle nascite - Atto di battesimo di Sebastiano Gareri figlio di Cecilia Faragò pag. 185 - Archivio della Chiesa Santa Maria Della Visitazione di Soveria Simeri. Liber mortorum - Archivio della Chiesa Santa Maria Della Visitazione di Soveria Simeri. Lectio Magistralis L’ultima strega a cura di Emanuela Bianchi –– Istituto Progetto Uomo Università Pontificia Salesiana –Montefiascone (VT) 27 Maggio 2023

Cronologia degli Eventi

-           1710/1712 Nasce Cecilia Faragò, data e luogo non sono rinvenuti[1]

-         11 novembre 1725 Cecilia Faragò si sposa con Lorenzo Gareri[2] a Soveria , vivranno in Contrada Spatoletto.

-        Il  26 agosto 1726 viene battezzato il loro primo figlio Sebastiano[3].

-         Catasto di Soveria Simeri anno 1742 La famiglia Gareri era composta da:

Giacomo Saverio Gareri 63 anni, Caterina Mercuri 59 anni, Moglie di Giacomo.

Fortunato Gareri 36 anni, figlio di Giacomo e Caterina.

Nunziata Ripisso 30 anni, Moglie di Fortunato.

 Antonio e Francesco gemelli figli di Fortunato e Nunziata.

Donato, Caterina e Rosa figli di Fortunato e Nunziata.

Lorenzo Gareri 33 anni. Cecilia Faragò 30 anni. Sebastiano Gareri figlio di Cecilia e Monaco Francescano. Andrea Gareri figlio di Cecilia e Lorenzo.

Tutti con un grado di istruzione molto basso, Giacomo usava porre una croce al posto della firma in tutti i documenti trovati.

-         1753 Andrea Gareri sposa -a 19 anni- Rosa Vigliarolo di Soveria.

-         1762 Muore Lorenzo Gareri a 53 anni. Andrea Gareri Diventa erede di tutto il patrimonio.

-         1 settembre 1766 Andrea Gareri muore dopo una lunga malattia.

-        Novembre 1766 Cecilia Faragò firma un contratto con Don Francesco Biamonte e Don Domenico Vecchiti stipulando che tutti i beni ereditati dal figlio fossero tutti intestati alla Chiesa d Soveria. dopo qualche mese, Cecilia Faragò cercò di negare l’esistenza e l’efficacia giuridica dell’Atto stipulato con i due preti. Probabilmente i due preti cercarono di impadronirsi anche dei beni dotali (La Dote) di Cecilia Faragò come si evince da: “Andrea Gareri suo figliuolo , che sedotto nell’ ultim’ ore del viver suo, istituì quel D. Francefco Biamonte erede universale fiduciario del pingue asse, che possedea. imponendogli di costituirne su di esso un legato perpetuo di Messe , che celebrar si dovettero da’ Preti della sua Patria; e destinò quel Vecchiti esecutore della sua volontà. Aveva già prima Lorenzo Galeri,a contemplazione del matrimonio di questo Andrea suo figliuolo, fatto a lui ampia donazione dei beni suoi , ma riserbando espressamente l’ usufrutto di essi per se , e per la moglie ( che oggi è la rubricata ) finché o egli, o ella vivesse. Quel testamento , che non potea tramandar la roba ai chiamati per le circostanze, che accompagnano la donazione riferita, bastò agli accorti Canonici per far che la Vedova spogliata fosse non solo delle robe, che furono del marito, ma di quei tutti, che a lei si appartenevano, o per esser dotali, o per essersene da lei fattol’acquisto . Ridotta essa in stato lacrimevole da non aver come vivere, si determinò a promuovere , come potesse al meglio, un civile litigio centro i Canonici , e nell’Udienza Provinciale il promosse”[4].

 

-         6 maggio e 14 agosto 1767 Cecilia Faragò compare presso la locale Corte e Chiesa e ottiene la restituzione dei suoi beni dalla Regia Corte di Taverna. Cecilia Faragò promuove presso la Regia Udienza Provinciale di Catanzaro un “Civile Litigio” contro i due prelati sulla destinazione e la consistenza dei beni ceduti dal figlio Andrea.

-         Febbraio 1769 muore Il Canonico Don Antonio Ferrajolo ,malato da oltre 5 anni e curato dai Medici Fisici D. Pietro Garcea e D. Pompeo Cundari .

-        Cecilia Faragò è accusata di aver procurato la morte del prete tramite malia e polveri magiche.

“Sì accorser gli esperti Avversari, che proseguendosi dalla Vedova la causa, daveasi toglier loro di mano tutta la pingue eredità , che usurpata avea l’ ingordigia : onde fu, che con mano negl’ inganni scaltrita risolvettero malmenarla con una qualche imputazion crìmìnosa per affatto distoglierla  dall' intrapreso giudizio : I’ accagionaron perciò , ( mancando loro ov’ altro appigliarsi) rea di fattucchierìa , favoleggiando di aver data morte col poter di quest’arte al Sacerdote D. Antonio Ferrajolo, di cui s’ era dato il caso di morir etico tisico in quel tempo dopo aver penato infermiccio cinque anni , e più. Diedero quindi ad intendere a Vittoria Rossetti madre del Ferraiolo defunto , che Cecilia Faragò con magìa le avea ucciso il figliiolo, come uno del Comune della lor Terra , giacché avea ella a tutti del Comune minacciato la morte; e persuadere la Rossetti a non far seppellire il cadavere del giovane trapassato . Sparsa ch’ ebbero indi la fama per quella Terra dell’ inventata reità , i detti Canonici, assistiti dai congiunti , han fatto succedere con meravigliosa celerità l’ incarcerazione della Vedova ,senza permesso di Giudice , senza querela della Rossetti , e in tempo , che il Governator di giustizia in quella Terra non v’ era . Forzarono I’ Agente del luogo ,e l’Erario a dar loro le chiavi delle carceri, che le gli negavano con ragione , ed avutele in mano , di propria autorità non solo nella prigion la rinchiusero ,ma ebber cura di ben cingerla di ferrei ceppi , e catene : e colto un tempo per loro sì prospero scassarono l’ abitazione dell' infelice , e dieder sacco a quanto era ivi rimasto”[5].

-          “Biamonte e il Vecchiti diedero ad intendere alla vedova Vittoria Rossetti, madre dello sventurato prete, che Cecilia Faragò, tormentata nel vedere la propria roba in mano altrui, aveva in un primo momento minacciato di morteil figlio (il fatto veniva confermato da una donna del paese, Prudenzia de Ture, non si sa quanto prezzolata e  dai preti) e successivamente ne aveva con pratiche magiche provocato la morte. La donna avrebbe eseguito  in due momenti; nel mese di settembre del 1768 la Faragò si sarebbe fatta comporre da una donna catanzarese, Anna Scarcello, o, secondo il testimone Nicola Taverna, da un viperaio di Soveria, una polvere magica e l’avrebbe fatta gettare sul Ferrajolo da sua nipote, Laura Fratto. In un impreciso mattino di sabato la Faragò avrebbe completato la propria opera; in atto di pregare genuflessa presso l’altare della chiesa madre, la vedova avrebbe ammaliato con le labbra e con gli occhi il Ferrajolo che suonava e cantava accompagnato dall’organo. All’atto del maleficio il prete avrebbe mutato la voce. Da quel giorno le condizioni di salute del Ferrajolo, nonostante le assidue cure dei due medici D. Pietro Garcea e D. Pompeo Cundari, si erano progressivamente aggravate; vani, anche, si sarebbe rivelato il tentativo, sollecitato dalla Rossetti alla Faragò per il tramite di Felice Jonà, abitante del luogo, di convincere la Scarcello, ritrosa in un primo momento, ma convinta dal regalo di cento ducati offerti da un uomo , Armenio Anselmo, a togliere il maleficio; nonostante tutto, lo sventurato prete nel mese di febbraio del 1769 morì. L’autopsia, eseguita sul cadavere da un altro medico del luogo, avrebbe confermato che la morte del canonico era dovuta a cause misteriose[6].

 

-         I due canonici senza l’autorizzazione del Governatore di Giustizia della Locale Corte momentaneamente assente, con la complicità di un secondino corrotto, incarcerarono la Faragò, la cinsero di ceppi e catene e la torturarono; nel contempo si introdussero, scassinando la porta di ingresso, nell’abitazione della Vedova, presero unguenti, monerali, polveri, erbe e un osso che sarebbero stati elementi di prova della malia nel processo, distrussero tutto quanto era in casa a portata di mano.

-        4 Febbraio 1769 la Vedova Rossetti querela la vedova Faragò Se ne commisero allora dal

“Tribunale le diligenze alla Corte di Soveria; ma nel tempo, che quelle si praticavano , trattandosi la Vedova nelle carceri di quella Terra con Affricana tirannide, in quelle dell' Udienza fu trasportata dopo temeraria lunghissima contra stanza usatasi al Tribunale dello Corte del luogo , e dalla Rossetti. Prepostisi nell' Udienza gli Atti , che avea intessuti la Corte , idonei a dettare il ributto per la lor melensaggine , ed intesa la deposizione estragiudiziale del Dottor Fisico D. Ignazio Larussa , s'ordinò dalla medesima L’ informazione che si commise al Mastrodatti Giuseppe Orla , e fu la Vedova consegnata. Avea I’ Orla dato appena a quell' affare cominciamento , che la Rossetti domandò incaricarsi un dei Regj Ministri di quell’ Udienza pe ‘l disimpegno dell’ informazione ordinata; e n’ottenne, che l’ Uditore D. Raimondo d' Elia commisario della causa si portasse ad eseguire quanto il Tribunale avea disposto col suo decreto : e poiché si lagnavano entrambe , la querelante, e la rubricata , l’ una della malia , che le avea morto il figluolo, l’ altra della calunnia , che le tramarono la Rossetti, e i Canonici, si è dal Tribunale risoluto doversi prendere informazione sulla verità de’ fatti”[7].

-        23 agosto 1769 La Regia Udienza di Catanzaro dichiara che, esaminata l’informazione del Regio Commissario d’Elia, vista l’istanza dell’avvocato del Regio Fisco di Catanzaro Don Antonio Brancia, ascoltato lo stesso, si dichiara di non doversi procedere contro la Faragò e addiritturas’ ordinò di doversi procedere ad una nuova informazione contro coloro che avevano illegalmente imprigionato la Faragò.

-        La Rossetti propose appello contro il decreto della Regia Udienza di Catanzaro presso la Gran Corte della Vicaria di Napoli. In risposta, la Faragò, per nulla intimorita e incoraggiata dal non luogo a procedere pronunciato dalla Regia Udienza, nomina a proprio difensore Giuseppe Raffaelli: giovanissimo e promettente avvocato catanzarese. Inizia il processo a Cecilia Faragò

-         3 novembre 1770 Il Re ordina alla Regia Udienza di Catanzaro di rimettere all’esame della Real Camera la Relazione della Gran della Vicaria sull’accusa di “Fattucchieria” della Faragò e di depositarsi prima di ogni altra cosa, i 400 ducati pagati dalla Rossetti all’uditore d’Elia. Il Re aveva capito che esisteva una superficialità e gravi disfunzioni ai danni della Faragò nell'ambiente giudiziario Catanzarese per questo decise che doveva esserci riscontro dell’esecuzione dell’ordine.

-         16 novembre 1770 Il Presidente della Regia Udienza della cittadina calabrese comunica di avere raccolto la somma di “341 ducati e grana 34” versata da coloro che percepirono la delibera per l’informazione sull’accusa di stregoneria alla Faragò. Aggiungendo che mancavano solo “43 ducati e grana 91”, la porzione dell’Uditore Elia, il quale si trovava presso la Regia Udienza di Trani, e “14 ducati e 72 grani” difficilmente recuperabili perché pagati a soldati assenti o di ventura. Alla comunicazione era allegata una relazione nella quale erano delineati i momenti più importanti dell’accusa contro la Faragò. La causa venne affidata al giudice Freda che accusò la manifesta parzialità usata verso i preti e lo “spirito di avidità” dell’uditore d’Elia oltre alla condotta tenuta in tutta la vicenda dalla stessa Udienza. Chiese di procedere contro i responsabili con tutto lo zelo e il rigore possibile e che la “misera” Faragò venisse reintegrata per tutti i danni subiti per la persecuzione.

-         29 dicembre 1770 Il re riprese i suggerimenti della relazione del giudice Freda, dispose che i 400 ducati depositati dalla Rossetti fossero dati alla Faragò e che l’Udienza “prendesse giudiziaria informazione delle violenze, dei torti, dei danni, delle sottrazioni e delle umiliazioni sofferte dalla vedova, che si scoprissero autori, complici ed istigatori dell’azione delittuosa". Inoltre il re ordinò che si formasse un processo separato contro i preti, acquisendo il maggior numero di elementi possibili. D’Elia non mostrava nessuna intenzione di provvedere al pagamento delle somme dovute alla Faragò.

-         17 febbraio 1770 La Faragò rivela al suo avvocato (Raffaelli) che i due canonici, che l’avevano accusata, all’arrivo del Real Dispaccio erano venuti a lei per chiedere pace e offrendole 1500 ducati affinché rinunciasse all’azione giudiziaria.

-         18 marzo 1771 Il Preside dell’Udienza di Catanzaro sollecita l’Uditore D’Elia a aumentare il deposito da 43 ducati e grana 94 a 58 ducati e grana 85, considerato anche i 28 ducati e grana 64 che D’Elia si era detratto per spese di mantenimento ma che dovevano essere interamente a suo carico. Inoltre anche i subalterni dovevano versare l’intera somma depositata senza detrarre la spesa di 25 ducati per il loro mantenimento.

-         23 luglio 1771 Il Preside dell’Udienza di Catanzaro fa presente al re che l’Uditore D’Elia non intende rimettere la sua porzione, inoltre aggiunge che il magistrato voleva depositare la somma presso la Gran Corte della Vicaria e in tale sede “sperimentare” le sue ragioni senza farsi carico della Sovrana Determinazione.

-         27 settembre e 26 novembre 1771 Il Preside sollecita di nuovo d’Elia a depositare le somme, ma l’Uditore non intende in nessun modo obbedire all’ordine del re. Il sovrano comandò allora che il Preside di Trani obbligasse l’Uditore d’Elia a fare immediato deposito delle somme dovute e successivamente avesse cura di far prevenire subito l’intera somma al Preside dell’Udienza di Catanzaro. Inoltre dispose che tutti 400 ducati fossero consegnati alla Faragò. Non si ha la certezza se la Faragò li avesse ricevuti, ma si può pensare che avvenne la consegna in quanto l’udienza concluse la prima fase di una travagliata vicenda.

-         14 dicembre 1773 La Gran Corte della Vicaria di Napoli, aveva bisogno di verificare la veridicità dell’accusa ai preti da parte della Faragò, quindi dispose che ci fosse una indagine da parte del Reggimento della Terra di Soveria e che si facesse i dovuti accertamenti.

-         20 dicembre 1773 Il Reggimento di Terra di Soveria in risposta all’indagine: “Da noi qui del Reggimento di questa terra di Soveria - si replicò - si fa iena, certa e indubbiata fede col giuramento, come per la celebre causa di magia accasata contro Cecilia Faragò di questa suddetta terra… perchè non si mandasse in effetto il Sovrano Dispaccio, da taluni preti di di questa terra anzidetta si pagarono alla suddetta Cecilia Faragò ducati novecento circa per transazione e per accordo tra li preti e la Faragò, siccome meglio appare da obligo stipulato nella città di Catanzaro per mano del medesimo notaro Antonio Stratioti, se non facciamo l’errore, e ducati seicento gli furono restituiti per l’importo dell’eredità del figlio della vedova Faragò, che in tutto sono ducati mille e cinquecento; atteso da’ molti particolari secolari di questa predetta terra per causa di molta robba che si presero dalla rinomata Faragò, pagarono ad essa medesima ducati seicento, più o meno, giacché non possiamo dirne di certo; che per essere così la verità ne abbiamo scritta sotto di nostra mano”

-         28 febbraio 1774 Raffaelli chiese al giudice commissario della Regia Udienza di Catanzaro gli atti della causa. Il difensore nominato dalla Faragò, l’avvocato Florio, invocò i termini a difesa.

-         22 marzo 1774 Il Giudice Commissario Cardamone stabilì che la Faragò pagasse al Raffaelli tre ducati “pro laboris pro causa”.

-           Agosto 1774 L’avvocato Orazio Grimaldi comparve presso la Gran Corte della Vicaria di Napoli per patrocinare al Raffaelli la causa contro la Faragò per la corresponsione degli onorari dovuti. Il Grimaldi, con una dotta e lunga memoria in un elegante latino, si oppose alla decisione del giudice D.Aloysio Cardamone che aveva stabilito darsi al Raffaelli ducati tre “pro laboris pro causa”. Il Grimaldi sosteneva che la cifra pattuita offendeva tutti gli avvocati e in particolare D. Giuseppe Raffaelli. Aggiungeva che il provvedimento del giudice era nullo: non teneva conto della fama “della fecondia, della consuetudine del foro dell’avvocato difensore. Nel giudizio - continuava il Grimaldi - si era dovuta una vittoria <>, sebbene sembrava che la Faragò ne avesse ricevuti solo seicento.”

-           13 agosto 1774 Raffaelli comparve presso la Corte della Vicaria di Napoli per avvantaggiarsi del successo ottenuto con il caso della Faragò e chiedere che si liquidasse a suo favore una tassa “omni modo meliori”

-           19 agosto 1774 Il Governatore del Sacro Monte dei Poveri di Napoli dichiarava che erano stati depositati sei ducati da parte della Faragò a favore del Raffaelli.

-           31 agosto 1774 Il giudice della Regia Udienza di Catanzaro Cardamone stabilì di “tassare” la vedova Faragò di dodici ducati a favore del Raffaelli per la causa di stregoneria. “Da questo momento non si hanno più notizie della controversia tra la Faragò e il Raffaelli; è probabile che il famoso giurista desistè dal richiedere ulteriori richieste di denaro per gli onorari, essendosi probabilmente reso conto della precaria situazione economica dell Faragò, che trascorse verosimilmente in disagiate condizioni economiche ma finalmente in pace, gli ultimi anni della vita.

-           17 dicembre 1785 Cecilia Faragò muore, probabilmente in una casa non propria, forse neppure con l’assistenza dell’unico figlio rimasto: il monaco Sebastiano. Probabilmente fu abbandonata da tutti e lasciata al suo destino per aver avuto il coraggio di sfidare la Chiesa che era una istituzione sacra e intoccabile, profondamente radicata nella società dell’epoca[8].



[1] La data di nascita è presumibilmente il 1712  poiché nel Catasto di Soveria anno 1742 si riferisce di Cecilia moglie di Lorenzo Gareri, età 30 anni. In merito al luogo di nascita potrebbe collocarsi a  Zagarise dove ancora esiste il cognome Faragò, ma se si segue la consuetudine tipica della cultura contadina meridionale dello  sposalizio nel paese della donna allora sarebbe Soveria Simeri.

[2] Libro dei matrimoni - Atto di matrimonio pag 52  - Archivio della Chiesa Santa Maria Della Visitazione di Soveria Simeri.

[3] Libro delle nascite - Atto di battesimo di Sebastiano Gareri figlio di Cecilia Faragò pag 185  - Archivio della Chiesa Santa Maria Della Visitazione di Soveria Simeri.

[4] Memoria Difensiva di Giuseppe Raffaelli, Num. XXIII. Dìfesa di Cecilia Faragò inquisita di Fattucchierìa – COLLEZIONE Di SCRITTURE Di REGIA GIURISDIZIONE. Tom. IX. MDCCLXXI – Biblioteca Nazionale di Napoli

[5] Memoria Difensiva di Giuseppe Raffaelli, op.cit.

[6] Mario Casaburi - La “fattucchiera” Cecilia Faragò. Ed. Rubbettino

 

[7] Memoria Difensiva di Giuseppe Raffaelli , op. cit.

[8] Liber mortorum - Archivio della Chiesa Santa Maria Della Visitazione di Soveria Simeri.